QUELLO
SCANNATOIO DI MANI PULITE.
CRONACA DI UNA TRUFFA GIUDIZIARIA, COMMESSA DAL POOL DI MILANO, PER SALVARE IL
PCI
Parte
Settima e ultima
ORA STRAPPIAMO IL SIPARIO E VEDIAMO QUELLO CHE È SUCCESSO E CHE
L’OPINIONE PUBBLICA NON CONOSCE
Due anni dopo quel 1993, dopo quella
“tumulazione di quell’inchiesta sul Pci”, sale, nel gennaio del ’95, al Governo
dell’Italia il Governo Dini,
sostenuto anche dal Pds-Pci e il
Magistrato palermitano Filippo Mancuso
va al Ministero di Grazie di Giustizia.
Pochi conoscono Filippo Mancuso, morto il 30 maggio
del 2011, sto parlando del Ministro di Giustizia nel 1955, dello scellerato
Governo Dini.
Nel maggio del 1995 il Ministro
Mancuso avviò una serie di ispezioni
giudiziarie sul pool di “Mani Pulite”,
sospettato non solo di aver violato le
procedure legali nel corso di quelle
“indagini” ( abuso della carcerazione preventiva, torture, eccetera), non solo di avere provocato suicidi eccellenti ( Cagliari, Gardini,
Moroni, eccetera) ma anche di avere
abusato illecitamente del proprio ruolo,
come il Magistrato Gerardo D’Ambrosio,
il quale, come abbiamo visto, aveva
archiviato l’ inchiesta sul Pci, avviata
dal Magistrato Tiziana Parenti, non ostante la Guardia di Finanza avesse accertato, come vedremo, diverse
criticità nella storia del conto Gabbietta in Svizzera e di Primo Greganti .
Ma occorre anche ricordare che fu “anche” grazie a Filippo Mancuso ed a pochi altri coraggiosi ( fra i quali mi piace
citare Vittorio Sgarbi) che si cominciò a scoperchiare quel “ vaso di Pandora”
delle illegalità, dei veri e propri
abusi, delle sopraffazioni , dei tanti misfatti di quel Pool di Mani
Pulite, che nessuno osava denunciare per non attirarsi le ire dei Magistrati
dediti, dal 1993, ad una opera di intimidazione e di continua minaccia, “ un
vero e proprio scannatoio” insomma, nei
confronti del Parlamento e della nazione intera.
Fu grazie a lui, a Filippo Mancuso, che certi termini, quali “partito
dei magistrati”, quali “golpe giudiziario”, che prima circolavano nei centri
carbonari di pochi addetti ai lavori, divennero poi di dominio pubblico.
La spavalda, coraggiosa e ferma condotta di Filippo Mancuso, la rivelazione delle meschine manovre di
corridoio, vere e proprie congiure messe in atto , per intimidirlo, per dissuaderlo, per
ammorbidirlo, dalle maggiori cariche
istituzionali - le quali , davanti allo
stravolgimento giustizialista dello stato di diritto avevano preferito voltarsi
dall’altra parte , far finta di niente, per non inimicarsi e indispettire la
criminale banda dei magistrati e dei post comunisti - mise con le spalle al muro e costrinse uno
già azzoppato, minacciato ed intimidito Polo delle Libertà ( già “deposto” dalle false accuse del Di
Pietro) a rendersi conto ed a denunciare quel “golpe giudiziario –
istituzionale” ( “ uno scannatoio” lo diventerà man mano che la verità verrà a
galla) che la sinistra negava, che la
sinistra censurava e che fu perpetrato, da quell'indegno Parlamento e da quell'irresponsabile Quirinale , ad
ottobre del 1995, con la “ cacciata” di Filippo
Mancuso .
Ottobre 1995 quando, con una procedura inedita nella storia della
Repubblica, una maggioranza politica nata nei corridoi e nei retro bottega dei
postriboli politici, avanzò una mozione di sfiducia ad personam nei
confronti del solo ministro della giustizia.
Il 19 ottobre
1995 la sfiducia nei confronti di Mancuso fu approvata al Senato con 173 voti
favorevoli (Post comunisti, Partito Popolare, Lega Nord e Rifondazione
Comunista), 3 contrari e 8 astenuti, mentre al
momento del voto i l Polo delle Libertà abbandonò l’aula per contestare la
legittimità della decisione).
Inoltre l’opinione pubblica
conosce molto poco Lamberto Dini, il
capo di quel governo.
Lamberto Dini il politico antesignano di tutti i voltagabbana dediti alla “politica da
marciapiede”, non per caso sodale di Oscar
Luigi Scalfaro (Dio li fa e poi li accoppia, si dice) gli “utili idioti
della sinistra comunista” che si sono prestati per quel “governo del
ribaltone”.
Per capire bene quale “galantuomo” fosse Lamberto Dini, rammento quello che Dini disse, da Presidente del Consiglio, a maggio del 1995, quando Filippo Mancuso aveva preannunciato
quelle ispezioni al Pool di Milano. “L’esercizio dell’azione disciplinare nei
confronti dei Magistrati è competenza del Ministro di Giustizia e non del
Governo”.
Che statura, che uomo, che animo nobile, che fegato!
Il fatto era ed è che Lamberto
Dini fosse sposato con Donatella
Pasquali Rosso, vedova del miliardario romano Renzo Zingone, da cui aveva ereditato considerevoli ed anche opache
proprietà.
Meglio lisciare il pelo al Partito dei Magistrati in vista dei i
processi che stavano investendo la moglie, piuttosto che difendere un Filippo Mancuso qualsiasi. No?
Così Donatella Dini è stata
poi, si, condannata, ma solo il 3 dicembre del 2007 (e chi se ne ricorderà più
dopo tanti anni?) dalla X Sezione Penale del Tribunale di Roma a 2 anni e 4
mesi di reclusione per bancarotta fraudolenta in relazione alla società "SIDEMA srl" e al suo un crac da 40
miliardi di lire, che era esploso nel 2002.
Ma fra complici ci vuole “omertà”. È la legge della malavita, no?
Così il Governo Prodi, il 29
luglio 2006, aveva approvato la legge
241/2006 che aveva introdotto un provvedimento di indulto per i reati
commessi fino al 2 maggio dello stesso anno.
Dicevano che serviva per svuotare le carceri, ma sopra tutto per
ringraziare quel mansueto, docile e ingordo complice.
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Nel ’95 sono spariti il Psi, la
Dc, era stato costretto alle dimissioni, per via giudiziaria, Berlusconi, il quadro politico era
completamente diverso da quello che dominava nel 1993. Perché nel 1994, nel
corso della campagna elettorale, Silvio
Berlusconi aveva tambureggiato l’opinione pubblica con la assoluta
necessità di una riforma della Magistratura, la quale magistratura, come
risposta, aveva usato “il suo uomo da caserma”, ossia Antonio Di Pietro, per “diffamare impunemente” Berlusconi con false accuse di corruzione, innescando un’azione
giudiziaria che si concluderà solo sette anni dopo, solo nel 2001, quando sarà
“certificato” che quelle accuse era tutte false.
Vibrava nel paese la
consapevolezza della necessità della riforma della Giustizia.
Sul comportamento giudiziario del Pool di Mani Pulite
andavano diventando sempre più di dominio pubblico molte e severe critiche e
gravissimi sospetti: si dibatteva ormai sui giornali e nelle televisioni il
quesito se quel Pool, come ho da poco rammentato, non avesse ripetutamente
violato le procedure nel corso delle indagini su Mani Pulite. Secondo una vasta
fetta del mondo giudiziario e
dell’opinione pubblica italiana, quei magistrati avrebbero abusato della “custodia cautelare”,
usandola come arma di tortura fisico-psicologica,
per estorcere confessioni ai
detenuti , non avrebbero trasformato in “arresto domiciliare” la “detenzione in
carcere” quando ne erano presenti le condizioni ed i requisiti e perché un magistrato - ormai ben noto al pubblico -
avrebbe indotto al
“suicidio” Gabriele Cagliari, detenuto.
Proprio per sgombrare il campo da questi sospetti che
insozzavano l’immagine dell’Italia e della sua Magistratura, il Magistrato Filippo Mancuso, entrato in politica
proprio nel 1995 nel “Gruppo Misto”, divenuto Ministro di Giustizia nel Governo
Dini, avviò, nel maggio 1995, una serie di ispezioni giudiziarie sul pool di
Mani Pulite.
Questa iniziativa e le sue contestazioni alle Procura di
Palermo sulle sue indagini sulla mafia, gli procurarono le feroci critiche
della maggioranza che sosteneva il governo (Pci/Pds, Partito Popolare, Lega
Nord eccetera), che lo accusava di ritorsioni politiche nei confronti della
magistratura.
Dunque il Ministro Mancuso avviò, nel maggio del ’95, una
ispezione ministeriale su quel Pool di Milano e quando il Ministro Mancuso riferirà in Parlamento i
“rilievi” da addebitare a quel Pool, ecco che venne fuori
un fatto incredibile, che era stato accuratamente tenuto nascosto agli occhi
dell’opinione pubblica.
Ossia che quel Pool di Mani Pulite “si era indebitamente rifiutato
di ricevere un rapporto, notificatogli dalla Procura della Repubblica, redatto
della Guardia di Finanza quale organo di polizia giudiziaria”.
Cosa mai era successo?
Era successo che la Guardia di Finanza, espletando controlli ed
indagini sull'archiviazione dell’inchiesta sul Pci/Pds da parte del Pool, aveva
scoperto una serie di incredibili errori da parte del Pool di Milano.
Il fondamentale rilievo era una vera e propria infamante accusa
contro quei magistrati del Pool di Mani Pulite, segnatamente di D’Ambrosio, ma
anche del Dr Ielo, della D.ssa Forleo e degli altri componenti del Pool.
Non si trattava di una semplice “incongruenza” ma di una vera e
propria “omissione di dovere d’ufficio” perché,
riferiva la Guardia di Finanza nel rapporto, Greganti aveva firmato l’atto di
acquisto di quella casa in una agenzia del Monte dei Paschi di Siena di Roma
alle ore 9,30 del mattino.
Come avrebbe potuto ritirare dal conto Gabbietta in
Svizzera quel miliardo e cinquanta milioni quella stessa mattina per poi
trovarsi alle 9,30 al centro di Roma a firmare quel rogito?
È dato che Greganti non aveva il dono
dell’ubiquità e non era un falco, significava che i soldi per comprare quella
casa non erano quelli che Greganti aveva prelevato dal conto svizzero
Gabbietta.
E dove era finito allora quel miliardo e cinquanta milioni
di lire che Greganti aveva prelevato
quella mattina dal conto svizzero Gabbietta?
Evidentemente nelle casse e nelle tasche del Pci-Pds.
Ma quel documento della Guardia di Finanza viene ignorato e
addirittura “rifiutato” dal Pool di Milano.
E come è possibile una simile infame sopraffazione?
E invece era possibile, possibilissima, perché eravamo nel 93, eravamo in Italia, andavamo verso il 94 e dal
1989 era entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale, quel tanto
sospirato passaggio dal grigio e tetro “rito accusatorio” all'auspicato “rito
probatorio”, dalle “prove di colpevolezza dell’imputato” elaborate nel chiuso e
nel segreto della stanza di un “ Giudice Istruttore”, alle “ prove di
colpevolezza dell’imputato che debbono
formarsi nelle aule giudiziarie nel dibattito fra difesa ed accusa”.
Sta di fatto che in quegli anni tutto il mondo della
giustizia era pervaso dallo strapotere , in seno al Csm, dalla corrente del Pci, ossia di “ Magistratura democratica”, tutto lo
scenario giudiziario italiano era monitorato e sorvegliato dall’On Luciano Violante, colui che volle carcere e disonore per Edgardo Sogno e Randolfo Pacciardi per dare sfogo al suo viscerale odio, colui che
perse la testa per l’odio che nutriva verso chi , Sogno e Pacciardi, avevano solo creduto in ideali diversi dai suoi
e che , nella famosa “ cena del pesce”
al Colle, da Cossiga – che
immaginava di poter diventare il “ padre nobile” che metteva d’accordo
finalmente la destra e la sinistra con la cena a tre , fra lui, Sogno e Violante – si rifiutò altezzosamente persino di
stringere la mano, di fare pace con Sogno,
ossia di dare il segno concreto della fine dell’eterna “ guerra civile
italiana”
Per di più, proprio in quegli stessi anni, la sinistra
comunista, a seguito della famosa “questione
morale” sbandierata da Enrico
Berlinguer nel 1982, aveva issato il vessillo del “giustizialismo”. Ormai, eravamo appunto nel 93/94, la società
civile era stata contaminata con la “ricerca
della giustizia politica” che stava sostituendo la “giustizia sociale”. Nei dibattiti mediatici che seguirono alla
stagione di Mani Pulite, si dibatteva su una questione, ossia “se
fosse più grave rubare per sé o rubare per un partito”.
E pian piano
prevalse, nell'opinione pubblica, la convinzione che rubare per sé fosse un
crimine inaudito mentre rubare per il partito fosse comprensibile, quasi
scusabile. Era la mutazione genetica dello “stato repubblicano e laico”
italiano in un “regime Leviatano ed etico”, dove la presunta nobiltà del fine
attenuerebbe la gravità del reato. Era uno scempio disgustoso, criminale dello
“stato di diritto” e della stessa giustizia.
Era il brodo di coltura di quel “giustizialismo
da caserma”, prodotto dall'avariarsi della “questione morale”, a cavallo del quale stava diventando Capo dello
Stato o Primo Ministro un figuro come Antonio Di Pietro, perché la
questione morale di Berlinguer si fondava su un principio staliniano, ossia che una
società era giusta solo se obbediva a leggi ferree e se rispettava “la pubblica
morale”. Dunque, secondo Berlinguer ed
il Pci poteva governare non chi proponesse ricette per il bene di tutto il
Paese, ma solo chi “ne fosse ritenuto degno “. E chi non fosse ritenuto degno,
doveva essere punito e la sua punizione doveva diventare un pilastro della
convivenza civile.
Così, quel nuovo codice di procedura penale che era stato progettato
da menti libere e garantiste, fu poi attuato da una società politica infarcita
dal tumore del giustizialismo, producendo scempi incredibili ed inammissibili
ed infami soprusi nel mondo della giustizia.
Uno dei peggiori scempi di questo nuovo codice, non tanto
“di procedura penale”, ma sostanzialmente “di forcaiolismo”, è stato compiuto
con il disastro realizzato in ordine all'introdotto obbligo del P.M., di esercitare l’azione penale.
Perché mentre il precedente codice di procedura penale,
quello del ’30, stabiliva che “il PM esercita obbligatoriamente l’azione
penale a seguito di denunzia, rapporto, referto, eccetera e quando comunque gli
pervenga notizia di un reato”,
formula che quanto meno dettava
delle regole precise alle quali
ogni PM doveva attenersi per esercitare o non esercitare un’ azione penale, per
il nuovo codice di procedura penale la
libertà del magistrato diventa assoluta, totale, regale, imperiale, non essendo
più collegata a dei paletti che ne circoscrivano i limiti ed i poteri.
Perché, per questo nuovo c.p.p. “l’azione penale comincia solo con la richiesta di rinvio a
giudizio”. Il magistrato dunque era
diventato “giudice
finalmente, arbitro in terra del bene e del male”, solo
lui poteva decidere se iniziare o meno l’azione penale.
A questo punto devo
ripetermi per rendere bene l’idea: ossia, il caso Greganti-Pci-Pds-Stefanini era stato affidato al P.M. Paolo Ielo che, dopo una trasferta a
Berlino per sentire alcuni testi sul posto, decise di richiederne la
archiviazione almeno per quanto riguarda la serie di reati relativi
all'illecito finanziamento del Pci/Pds e alla corruzione.
Contro le conclusioni del
Dr Ielo si scagliò molta parte
dell’Avvocatura, della dottrina, della società civile e dell’opinione pubblica
e molti studiosi brandendo argomenti ineccepibili che avrebbero dovuto indurre
il Dr Ielo a proseguire nelle
indagini e nel processo Pci-Pds-Stefanini-Greganti.
Ma eravamo nel 1994, vigeva
il nuovo codice di procedura penale e ogni Magistrato era stato fatto “giudice
finalmente, arbitro in terra del bene e del male” e Ielo chiese l’archiviazione
dell’inchiesta. Il gip Clementina Forleo
accolse la sua richiesta.
Il caso è stato così insabbiato, inumato, tumulato dentro una bara
d’acciaio.
Ma non fu nemmeno un caso isolato, nemmeno per sogno.
Al Dr Carlo Nordio,
oggi in pensione, ieri Procuratore di Venezia, cui ad un certo punto erano
stati trasferiti atti provenienti dal Pool di Milano e che stava indagando sempre
sul Pci-Pds e sulle tangenti, non
pervenne mai – ripeto NON PERVENNE
MAI – il verbale dell’interrogatorio del collettore delle tangenti del
Pci in Lombardia, tale Luigi Carnevale,
il quale aveva messo nero su bianco come fossero implicati nelle tangenti Stefanini, D’Alema, Occhetto e tutta la
nomenclatura del Pci-Pds.
E che dire di quel miliardo di lire che Raul Gardini consegnò a Botteghe
Oscure, fatto del quale esistono diverse testimonianze, miliardo che si è
“volatilizzato”, che è “evaporato” dal formato cartaceo al formato fantasma
dentro le stanze tristi della sede del Pci. Eppure anche Cusani, che poi fu condannato per questo a sei anni di carcere,
testimoniò di avere consegnato un miliardo di lire direttamente ad Achille Occhetto.
Dimenticavo! Nell'ottobre 1995 la maggioranza che sosteneva
quel Governo Dini (Pci/Pds, Partito Popolare e Lega Nord), con una procedura
inedita nella storia della Repubblica, avanzò una mozione di sfiducia ad
personam nei confronti del solo ministro della giustizia Filippo Mancuso.
FINE
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Tratto da un capitolo del libro " Così eravamo noi" scritto da Gaetano Immè e in corso di pubblicazione.