LA
SICILIA, IL PONTE SULLO STRETTO, LA MAFIA
Ho fatto alcuni conti. Del Ponte sullo Stretto si è sempre parlato,
parlato, parlato. Ne cominciò a parlare addirittura Plinio il Vecchio, che ci racconta della
costruzione di un ponte di barche nel
251 a.c., da parte del Console Lucio Cecilio Metello. Se ne occupa anche Carlo
Magno, se ne occupa poi Roberto il
Guiscardo ed anche, nel più vicino 1840,
Ferdinando II di Borbone, Re delle due Sicilie. Se ne occuparono poi tutta una
serie di Governi unitari e , dopo il referendum del 1946, ancora tutta una
serie infinita di Governi repubblicani. Lo promise anche Benito Mussolini , che
ne fece un suo impegno , poi non mantenuto. Lo promise anche Bettino Craxi, che
lo aveva nel cuore e nel cervello, ma lì
gli restò. E, dulcis in fundo, lo
promise , invano, anche Berlusconi.
Memento:
Nel 1996 fu
proprio Di Pietro che portò il Ponte in Consiglio dei ministri quand’era
ministro dei Lavori Pubblici , definendo l’opera come «urgente». Ai “Verdi del sole che ride”,
risorti prima di Pasqua “ a miracol
mostrare” , ricordo che furono proprio i voti di Di Pietro
, il 25 ottobre 2007, a bocciare un loro emendamento che voleva appunto sopprimere la società di
progettazione. Se la vedessero fra di loro, senza scassare gabasisi altrui.
La Sicilia ,
isolata, esulta. Solo lasciandola ancora più isolata, solo lasciandola alle cure dei soli libri di Saviano e alle dispense ciclostilate di
Camilleri ed ora anche alle amorevoli cure di Leoluca Orlando Cascio ed a
quelle di Crocetta , solo lasciandola
senza carabinieri, poliziotti, carabinieri ed altra gente mafiosa, la Sicilia
isolata potrà dimostrare al mondo intero tutto il suo splendore. Senza alcuna
macchia di mafia sul suo suolo, finalmente libero dalla malefica influenza del “
continente”.
Auguri.
======================================================
Silvio Berlusconi, entrando in politica nel
‘94, si era dato un compito
ben più ambizioso di quello di tutti i suoi omologhi europei di centrodestra. Nel 1994 non doveva
solo impostare una politica estera diversa da quella asfaltata sulle posizioni
filo palestinesi di Andreotti , di Amato, della sinistra ulivista di Prodi e di
D’Alema ma doveva essenzialmente liberare l’Italia dal sistema
dei poteri forti che la opprimevano ,ridando fiato al liberismo culturale,
attuando un deciso ridimensionamento del centralismo statale in vigore nel
Paese , aprire l’Italia alla competizione sul mercato libero mondiale, attuare quelle
riforme istituzionali e costituzionali necessarie per rendere il Paese non solo
“ governabile” ma anche più moderno e meno rinchiuso nel catafalco ingessato di
una Costituzione superata e tremebonda che imprigionava lo sviluppo del Paese.
Doveva insomma ristrutturare tutto il sistema-paese. Compito immane, perché la
sua attuazione avrebbe condannato fatalmente i poteri forti e dominanti il
Paese, a misurarsi con la competitività
dell’estero, col rischio concreto di perdere quelle posizioni dominanti e di potere che si
erano accaparrati con il loro dominio dal 1948 fino al 1994. Figurarsi la
violenza della reazione! L’imprenditore e magnate delle televisioni di successo
senza pari, peraltro del tutto estraneo se non addirittura apertamente avverso alla
camarilla confindustriale , avulso dal sistema assistenzialista e consociativo nel
quale galleggiavano arricchendosi le
imprese italiane, colui che produceva un sistema di servizi che nessun altro
imprenditore avrebbe pensato ed attuato, famoso in tutta Italia ed anche nel
mondo già dai primi anno ottanta, è
stato praticamente l’unico personaggio,
peraltro estraneo al circuito politico tradizionale, ad intuire ed indicare quali fossero i mali radicati nel sistema: un
centralismo soffocante, una giustizia disfunzionale e ideologizzata, una
Costituzione ormai datata, uno Stato centralista e dirigista, onnipresente
nell’economia alla quale toglieva l’iniziativa libera , un sistema fiscale che strangolava il bambino nella culla, che
soffocava già dal suo nascere l’economia
della produzione e, sopra tutto, una cultura fondata sull’invidia sociale profusa da una
sistema scolastico pubblico e di fatto governato dallo Stato stesso e dunque
privo di ogni libertà culturale. Perché l’Italia degli anni novanta era un
disastro: un Paese dominato economicamente da Sindacati ai quali Ciampi regalò,
come fosse stato un Principe medioevale, un potere di veto e controllo che la
Costituzione non prevedeva; un Paese in cui la Costituzione era stata sfregiata
dalla stessa classe politica che aveva supinamente subito il ricatto dell’Ordine
della Magistratura e si era denudata delle sue prerogative costituzionale consegnandosi,
praticamente, al giustizialismo forcaiolo; una Magistratura che, una volta
sopraffatto il potere legislativo, dominava il Paese, intromettendosi in ogni
pertugio, in ogni orifizio, limitando con le sue azioni giudiziarie sempre di più le libertà personali e
costituzionali, fino ad arrivare al punto di annullare, con artifici giudiziari
, la sovranità politica del popolo , tronfia ed arrogante nella sua immonda
impunità. Scese in campo personalmente, perché era evidente come nessuno dei leader politici dei primi anni ’90
avesse il coraggio di promettere un cambiamento così imponente che avrebbe
compromesso il consenso politico, in sintesi, meglio il voto di scambio che il
benessere del Paese. Non poteva fare altrimenti, per la semplicissima ragione
che tutti gli uomini politici cresciuti nel secondo dopoguerra, tutti, nessuno
escluso, erano stati allattati ed imbevuti di quella stessa cultura politica
che doveva essere profondamente cambiata.
Partendo da questi
presupposti e dalla constatazione che gli obiettivi prefissati non sono stati raggiunti, possiamo dire che
Berlusconi sia fallito, proprio perché non è mai stato “ Berlusconi Primo
Ministro “ ma solo “ un Primo Ministro” . Alludo al potere decisionale, assente nelle
disposizioni costituzionali che riguardano appunto il Capo del Governo, anche
se presente nella persona di Berlusconi. Da questo punto di vista appare in
tutta la sua pretestuosità la ripetuta accusa rivolta a Silvio Berlusconi di
essere un dittatore o simili scemenze. Non ricordo , disgraziatamente, alcuna riforma “memorabile” di quelle
promesse. Tentativi, forse. Come quello sulla “ riforma delle pensioni” , poi
cancellato dal Governo Prodi, come il tentativo di liberalizzare il “ mercato
del lavoro” liberandolo dai privilegi ottocenteschi che lo irrigidiscono e
proponendo l’attenuazione temporanea del famoso articolo 18 della Legge 300/75.
Diciotto anni in primo piano nel Parlamento italiano, , nove anni al Governo,
nove anni all’opposizione, un’alternanza casuale, ma non vedo alcuna differenza sostanziale fra l’Italia del
2012 e quella del 1994: i problemi che ci affliggono oggi sono esattamente gli
stessi di allora. Le ideologie collettiviste e l’invidia sociale che
egemonizzavano la nostra cultura allora, sono tuttora dominanti. Ed è proprio qui il fulcro del fallimento del
berlusconismo: sono mancati l’indispensabile rinnovamento culturale ed il riformismo costituzionale. Poco
importa per quale ragione queste riforme non sono state attuate, ragioni che
pure sono validissime, ma restano pur sempre
degli alibi .
E’ poi mancato il supporto fondamentale in
un Paese democratico: il partito
politico . Se guardiamo con sincerità
all’interno dei partiti fondati da Silvio Berlusconi, Forza Italia
prima, il PdL poi , ci accorgiamo che la
maggioranza degli esponenti di Forza Italia prima e del PdL poi non hanno mai espresso entusiasmo per il disegno di riforma del Paese concepito
da Berlusconi. Anzi! Non c’è mai stato
alcun serio tentativo di sintonizzare sul progetto nuovo progetto riformista
berlusconiano le tante e differenti ideologie , ereditate dal passato
novecentesco, che avrebbero dovuto coagularsi nell’unico e vincente partito berlusconiano
dove hanno trovato solo un comodo e
munifico rifugio, quali il
conservatorismo cattolico della democrazia cristiana di centrodestra, il
liberalismo , il socialismo riformista d’origine craxiana. Anzi,con la
fondazione del PdL il problema, se possibile, è ulteriormente peggiorato.
Perché se pure è avvenuta una fusione
con un intero partito, Alleanza Nazionale ( la cui identità culturale peraltro-
dopo l’abbandono del neo-fascismo del Msi- non è neppure mai stata definita con chiarezza),
le differenti “culture interne” non hanno mai consentito una loro fusione amalgamativa,
ma solo emulsionata, come l’acqua con l’olio, per rendere l’idea.
I “
poteri forti “ del Paese , quelli che hanno appositamente creato , nel loro sessantennale dominio del Paese, quella “politica politicante” a loro organica,
così tanto giustamente snobbata da Silvio Berlusconi, premier “del fare”, si è ampiamente vendicata.
I vari “ Principi di Salina” seduti in quel grumo di potere che mischia e
distilla a proprio piacimento – Cuccia docet - politica , finanza, banche, informazione,
istruzione, editoria,produzione industriale, ecc. sono riusciti a ridurre all’impotenza
ogni ventata riformista del berlusconismo. Si è verificata una “ restaurazione”
del più gretto conservatorismo che ha ricacciato indietro ogni “modernizzazione”,
millantandosi per movimento “progressista”.
E’
successo al PdL quello che è accaduto all’Unione di Romano Prodi nel 2008: senza un
progetto politico unico e condiviso, senza alcuna comune visione del futuro,
prima l’Unione e poi il PdL sono letteralmente esplosi ed implosi ,
dividendosi all’interno in congreghe politiche tra di loro ostili, entrambi i partiti dopo solo due anni
di governo. Si possono cercare giustificazioni quante se ne vogliono. Le colpe
di Bertinotti, quelle di Pecoraro Scanio o di Bersani nell’Unione, oppure l’accerchiamento
giudiziario, la feroce campagna di delegittimazione dei media, la cronica
“ingovernabilità” del Paese, l’infedeltà di Bossi prima, Casini poi e infine di
Fini per il berlusconismo. Ma il problema resta sempre lo stesso: senza un
partito coeso , sia a destra che a sinistra, nulla è possibile. Silvio Berlusconi
non ha saputo trasmettere la sua idea dell’Italia ai suoi uomini e i partiti
che ha creato non sono serviti a niente. Non hanno sviluppato alcun orientamento politico e culturale al Paese. Così, con la
crisi dei partiti politici, si spiega la
fine di un progetto politico
affascinante che, nel Paese, ha sempre conquistato la maggioranza dei consensi
per diciotto anni. Dunque sciagurato chi oggi vilipende i cadaveri ormai quasi
putrefatti dei partiti politici, cavalcando il pony facile e docile dell’antipolitica
politicante ( io sono contro i politici, ma ne voglio prendere posto, potere e
ricchezza). Sta contribuendo alla restaurazione del reazionarismo autoritario
che sempre è pronto ad occupare gli spazi pubblici che la politica assassinata
dall’antipolitica lascia incustoditi a disposizione di affaristi, demagoghi e
malavita .
===========================================================
Sono anni che questo Blog ne parla, delle
malefatte di Antonio Di Pietro, anni. Chi fosse questo Signore, lo sapevano
tutti a Milano, perché una città è anche un paesello, dove poi si sa tutto di
tutti. Si chiacchiera al bar, al circolo, nei corridoi. Questo Blog non ha
potere, non ha protettori, non ha niente, solo il desiderio di vedere trionfare
la verità e vilipesa la menzogna. Perciò, avendo studiato la vita di Antonio Di
Pietro, letto delle sue belle cose, c’è voluto poco, a questo povero Blog, di
dire pane al pane e vino al vino: Di Pietro Antonio è un border line che ha vissuto sfruttando i
suoi inquisiti, che s’è sistemato con
una favolosa baby pensione da Magistrato, arraffando l’eredità
della scellerata Erede Borletti- che lo riteneva una sorta di “ intemerato giustiziere della
notte”-, facendosi ripagare dal PCI il
lavoro sporco fatto in suo favore con l’omicidio del PSI e della DC di destra
con un bel seggio al Mugello, che s’è intascato personalmente dal 2000 fino al
2009 la bellezza di 75 milioni di Euro dei rimborsi elettorali che lo Stato,
cioè noi, ha pagato al partito IDV.
Insomma s’è fatto ricco, opulento ma anche pieno zeppo di nemici, come sempre
accade quando uno pretende di sgargarozzarsi tutto il cucuzzaro fregando tutti
gli altri ( vedere Di Domenico, Occhetto, Feltri, Giulietto Chiesa, Segni, etc).
Il Tribunale di Brescia l’aveva di fatto
condannato quando, nel 1995, pur assolvendolo da un punto di vista
esclusivamente “ penale” ( chi meglio di un
Magistrato sa fare “ le sòla “ e le “ concussioni” evitando di sconfininare, con qualche minimo escamotage,
nel reato penale?) ne aveva scoperchiate
tutte le zozzerie qualificandolo come meritava, un mariuolo, sentenza
distruttiva per Antonio Di Pietro e che, guarda caso, non è stata appellata
neanche dal Di Pietro stesso. La fifa fa novanta.
Ma stavano tutti zitti, perché Tonino prima aveva
fatto un bel lavoro sporco fucilando alle spalle i partiti nemici ( PSI e DC di
destra) e poi dopo stava in Parlamento con quel “partito azienda agricola Di
Pietro e moglie” che appoggiava il P.D., prima con Veltroni – quello che non
doveva apparentarsi con nessuno e poi si ficcò nel letto di Di Pietro
piatendone i consensi - , poi con Bersani. Fino a ieri.
Poi, dopo le foto, pornografiche, di Vasto, ecco
Di Pietro messo alla porta dal P.D.: praticamente ormai promesso sposo con Vendola
e con Casini, Bersani s’è finalmente liberato dalla morsa ricattatoria dell’ex
P.M.
Solo adesso quella grande giornalista della
Gabanelli si accorge delle secolari malefatte di Di Pietro e le spiattella a
Report. Cioè, una grandissima lezione di onestà e di trasparenza: sei un poco
di buono ma i tuoi voti mi servono per abbattere il Governo eletto
democraticamente, perciò fingo di non sapere quello che tutti, anche questo
Blog, ha sempre saputo. Ma non appena ho trovato altri “amichetti” che mi danno
il consenso ma non mi ricattano come faceva Di Pietro, via! Ti sputtano sulla
TV di Stato.Che coerenza, che onestà intellettuale, che
giornalismo d’inchiesta, che schifo!!!!
Stavolta, Dio mi
perdoni, sto con Antonio Di Pietro, che sarà pure quel border line che è, si
sarà pure fatto prestare soldi s
scatafascio dai suoi inquisiti ( ma cacciarlo prima dalla Magistratura no?), ma
è stato sempre sincero e ha rischiato in prima persona. Simili accoltellamenti
alle spalle sono delle azioni da miserabili, peggio di Bruto, insomma da
Gabanelli, sempre agli ordini del P.D..
Roma lunedì 5 novembre 2012
Gaetano Immè