IMPASTATI DI MENZOGNE
Massimo
Giannini, vice direttore di Repubblica ( quello che si presenta sempre con un “Sono
Massimo Giannini, sono Vice Direttore di Repubblica e sono molto colto”)
s’è dato da fare nei giorni scorsi per scrivere , sulla velina di Carlo De
Benedetti, quattro amenità circa un “
grande corruttore”, cioè su quel Silvio Berlusconi che da venti anni procura, a
lui ed al suo giornale, lauti guadagni. Diciamo che ha vomitato la sua solita
litania , quel “fritto misto” di verità e di bufale che tanto piace ai suoi
indottrinati lettori. Ai quali, però, il “geniaccio”si guarda bene dallo spiegare anche i fatti reali,i fatti nudi e crudi, senza condimenti e commenti , i
soli fatti che hanno scatenato questo ennesimo processo e le prime due condanne
contro Mediaset e contro Silvio Berlusconi. Così, come al loro solito, Giannini
e Repubblica fanno quel poco che sanno
fare: versare una melassa ( melassa o
merda vera e propria? Bah!) fatta da verità distorte e da bufale varie ,versata
direttamente nelle viscere dei propri lettori , ormai abituati, almeno da venti
anni, a mangiarne quotidianamente quantità industriali , per
sentirsi satolli e soddisfatti. Che volete, quei lettori sono stati allevati
dalla “scuola di Stato con la cultura di Stato” proprio per farli diventare
così, un esercito di coglionazzi che
credono a tutte le bufale che quella velina propina loro. Allora mi permetto di
spiegare io , al posto di quel “ geniaccio” di Massimo Giannini, cosa c’è
dietro questo processo, con la speranza che il Vice Direttore –peraltro assai
colto – ed i suoi indottrinati lettori,
abbiano gli strumenti necessari per capire.
Fino al 2009 tutta la grande finanza , le grandi imprese italiane,
le grandi industrie manifatturiere, le Banche italiane più importanti,
in generale tutta l’area finanziaria dell’Italia considerava normale prassi,
anche fiscale, costituire una propria holding estera, spesso residente in Paesi
a fiscalità molto più vantaggiosa che in
Italia ( Lussemburgo per tutti ). Ogni
Banca italiana, per esempio, moltissime industrie, hanno avuto ed hanno la propria
holding in ciascun Paese estero. D’altra
parte ,se una società italiana deve curare i propri interesse in un Paese
straniero ( cito come esempio un
produttore di burro italiano che impianta un suo centro produttivo in
Romania per vendere il proprio prodotto in quel Paese ) appare logico che
quell’attività si realizzi in nome di un soggetto residente in quel Paese,
posseduto ,ovviamente, dal soggetto italiano. Ricordo solo qualche altro
esempio : la Fiat – Ifil , con la sua holding lussemburghese, il Gruppo Cir
- Olivetti di Carlo De Benedetti con la
propria holding sempre nel Lussemburgo, il Gruppo Tod’s di Diego Della Valle , con varie
holding sparse in vari Paesi a fiscalità agevolata, il Gruppo di Luca Cordero
di Montezemolo, la Luxottica di Del Vecchio, la Bosch , ecc. Ovvio che gli
utili che venivano prodotti ed assegnati alle holding , se residenti in Paesi a
fiscalità agevolata rispetto al fisco espropriativo del nostro Paese , abbiano consentito
notevoli risparmi di imposte, nel mentre creavano disponibilità finanziarie in
quei Paesi. Ebbene tutto questo, fino al
2009, non era riprovevole, non era vietato,
non rientrava neanche nel concetto di elusione fiscale , ma era una
conseguenza, semmai, della fiscalità rapinatrice del nostro Paese.
E’ poi accaduto che il 13
maggio 2009, la Corte di Cassazione, con sentenza della Sezione Tributaria abbia introdotto in Italia, anche in ambito tributario, la
figura” dell’abuso di diritto”. Dispone quella sentenza che “il divieto di abuso del diritto si traduce in un
principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il
conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante
con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere
un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente
apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di
quei benefici.” In sostanza, il concetto di abuso del
diritto tributario è stato, di fatto, un allargamento
del concetto di elusione, circoscritto (secondo il sottoscritto
anche erroneamente) a fattispecie casistiche (art. 37-bis del Dpr 600/1973).Tutto
questo, ovviamente, deve decorrere dal 13 maggio 2009.
Torniamo ora al processo
Mediaset. Al centro dell’inchiesta, i conti di due società collegate alla
holding lussemburghese “Silvio Berlusconi Finanziaria , “la Century
One “e la” Universal One”, alle quali sarebbero state accreditati importi di
utili per approfittare delle minori imposte di quel Paese determinando così dei
fondi neri esteri derivati dalla
compravendita dei diritti televisivi di film di produzione statunitense. Si
tratta di fatti accaduti tra il 1999 e gli anni successivi e bisogna
tenere presente che Silvio Berlusconi abdicò ad ogni carica in Mediaset dal 1995. La ricostruzione fornita dai pm di Milano
presenta invece Silvio Berlusconi come il vero regista dell’intera operazione,
pronto a intascarsi 280 milioni di euro in nero e macchiandosi anche del reato
di falso in bilancio oltre che di evasione fiscale per 7,5 milioni di Euro. Dal
momento che il Cavaliere ha abdicato ad ogni carica di Mediaset dal 1995, lo
snodo cruciale del processo è stato dimostrare come Silvio Berlusconi abbia agito: fondamentali, in
questo senso, le testimonianze di Carlo Bernasconi ( a capo
della Silvio Berlusconi Communications,) di Oliver Novick (Direzione
Corporate Development) e di Marina Camana, segretaria di Bernasconi. Al termine
della requisitoria del processo di primo grado, i pm De Pasquale e
Spadaro avevano chiesto per Silvio Berlusconi una condanna di 3 anni e 8
mesi per il reato di frode fiscale
per 7,3 milioni di euro.
Ma se i fatti incriminati sono accaduti tra il 1999 ed il 2008 e
cioè “ prima” della sentenza della Cassazione ( del 13 maggio 2009),
come può quella sentenza esplicare effetto anche in via retroattiva? Prego
notare come la cifra che Mediaset deve versare al fisco , come disposto da
queste due sentenze, fra capitale, interessi e pene pecuniarie, ammonti ad Euro
10 milioni. Un niente, se paragonato a vari altri patteggiamenti. Cito la Bosch
( 300 milioni di Euro), cito il Monte dei Paschi di Siena per Euro 260 milioni,
cito Banca Intesa per Euro 250 milioni di Euro, cito Unicredit per 96 milioni
di Euro, cito Banca Popolare di Milano per 186 milioni di Euro. Ebbene, cifre spaventose rispetto a
quella affibbiata a Mediaset, cifre che evidenziano dunque evasioni
proporzionalmente maggiori di trenta volte, di quaranta volte rispetto a quella addebitata a Mediaset. Eppure nessuno
di questi patteggiamenti ha prodotto una sola inchiesta penale, pur essendo
tutti intervenuti “ dopo “ la data della Sentenza della Cassazione. Credo sia chiaro come tutte le holding e le finanziarie estere, come nel supposto
caso di Mediaset e di Silvio Berlusconi, avevano il solo ed unico scopo di
abbassare la pressione fiscale che in
Italia opprimeva tutti quei gruppi imprenditoriali di cui facevo elenco esemplificativo
ma non certo esaustivo sopra. Quanto poi al fatto che queste holding servissero
anche alla creazione di fondi neri esteri ( cito i casi della Ferruzzi e della
Fiat) non mi risulta che in quei due casi siano state comminate sanzioni penale
paragonabili a quelle che il Tribunale di Milano ha inflitto a Silvio
Berlusconi. Ed anzi, in nessuna altra sentenza, alla pena si sono accompagnate,
come nel caso di Mediaset e di Silvio Berlusconi , anche così pesanti sanzioni
accessorie come la comminata a Silvio Berlusconi interdizione dai pubblici
uffici per cinque anni. Voglio essere ancora più preciso: a Romiti ( Fiat) fu
comminata, per frode fiscale , un anno di reclusione, senza alcuna altra pena
accessoria.
Solo Massimo Giannini e
solo coloro che sono incapaci di ragionare con il proprio cervello senza farsi
condizionare da preconcetti, odi, rancori, bili ecc. può credere che questa
sentenza di secondo grado ( peraltro ,pare, fotocopia di quella di prima grado)
sia una cosa seria.
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QUELLI CHE APPROFITTANO DELLA
MORTE DI QUALCUNO PER PARLARNE MALE.
Un Magistrato italiano ancora in servizio, Gian Carlo Caselli ed
il ragazzo di bottega delle Procure, Marco Travaglio, approfittano
della morte di Giulio Andreotti per diffamarlo oltre misura, al riparo da ogni possibile
contraddittorio. Bravi, anime grandi! Ma
chi veramente siano questi due individui lo sappiamo bene per perdere ancora del tempo a parlare delle loro meschine
iniziative. Su Andreotti però, oltre a questi due, un raro esempio di ignoranza
è venuto da un’onorevole del M5S , tale Giulia Sarti, la quale , su Andreotti
dice “ E’ morto Andreotti, il condannato prescritto per mafia”. Una sintesi di
una spaventevole ignoranza. Vorrei che
la Sarti sapesse che , non ostante i Gian Carlo Caselli, le Boccassini, gli
Spataro, i Bruti Liberati, ecc la Magistratura e la Giustizia sono cose molto
serie, non fregnacce di cui parlare all’osteria del curato. Che dire “
condannato prescritto” è come dire un ossimoro perché l’uno esclude l’altro. Che non esiste l’assoluzione per “
prescrizione”, perché si assolve solo dopo un processo nel corso del quale
devono formarsi prove a carico ed a discarico. Dunque se è intervenuta la prescrizione vuol dire
che quel reato prescritto non è stato oggetto di indagini né di processo.
Dunque quando verrà il momento che gli ignoranti taceranno ?
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PER GLI IMBECILLI CHE PARLANO
DI LEGALITA’
Per i tanti imbecilli, anche siciliani, che si scandalizzano della
parola “mafia”. La mafia , amici sottosviluppati,
è ormai il marchio della Sicilia e senza la mafia la Sicilia sarebbe un’isola
nel mare, non altro. La mafia sta dentro ogni siciliano come ogni siciliano può
essere un mafioso. Anzi lo è, perché la vita lo costringe ad esserlo.
Acquisisci un modus vivendi che sarebbe impensabile adottare altrove. Se il Sicilia la tua auto è
chiusa da una macchina in doppia fila della quale non sai chi sia il padrone,
puoi forse comportarti come ti comporteresti in un simile caso, poniamo, ad
Udine? La mafia, poi, ha arricchito la Sicilia, ha arricchito molti siciliani,
in primo luogo i professionisti della mafia: dunque Camilleri, Saviano, i vari
attori come il Commissario Cattani, come
Montalbano, ecc. Film, documentari, fiction, romanzi, dove la realtà
diventa fantasia. Prima di Puzo e del suo film con Brando, il capo non era “un
padrino”. Prima della mafia i “Beati Paoli” era una congrega di giustizieri
incappucciati ( una specie di Klu Klux Clan ) che ammazzavano i malvagi e
difendevano i deboli. Parliamo della mafia da quando parliamo della Sicilia
unita all’Italia, non dal 1994 e da allora che la Sicilia viene equiparata con
la mafia. E siccome in Sicilia tutto accade se la mafia vuole ( perché se non
vuole nulla accede, con le buone o con le cattive), così avremo il ponte se la
mafia vorrà, avremo una nuova autostrada se la mafia vorrà, avremo pizzo,
droga, omicidi, lupare, agguati, la vittoria di quel partito o di quell’altro
sempre e solo se la mafia vorrà. Dal sempre, quanto meno dal 1860. E sapete,
care anime belle che vi riempite quella bocca di deficienti con la parola “
legalità”, sapete anime belle perché tutto questo? Ve lo dico io: perché è dal
1860 che nella Sicilia dell’arretratezza ( culturale, economica, sociale, ecc)
se ne è fatto un valore. Un valore che i furbi sfruttano. Appunto: tutta la
politica da sempre e tutti quelli che vivono e prosperano grazie alla mafia.
Attori, registi, scrittori, critici, giornalisti ed altri infami del genere.
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PER GAIA TORTORA
Come le
colpe dei padri non devono ricadere sui figli, così le opere dei padri non
devono salvare i figli. Così, davanti al processo Mediaset, la Signora Gaia Tortora si è risvegliata dagli ozi dei quali
può godere grazie al lavoro del padre e intervenire per dire che “ Berlusconi non si deve
paragonare a mio padre”. Una bella dimostrazione di come da un padre
intelligente e colto può anche venire un figlio non all’altezza. Perché la
Signora Gaia che squittisce velenosa che “ mio padre ai processi ci andava”
forse dimentica che Enzo Tortora era un sopraffino presentare della televisione
e non un primo ministro eletto dal popolo che deve guidare un Governo. Meno
parla , signora Gai, e meglio è per la memoria di suo padre. Anzi se ne stia proprio
zitta e si goda i frutti di suo padre.
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Roma,
domenica 12 maggio 2013
Gaetano
Immè