LA SINISTRA COME LA BANDA
DELLA MAGLIANA: TUTTA RICATTI ED INTIMIDAZIONI.
Intimiditi e ricattati dalla pistola sempre puntata alla loro tempia
dai Magistrati politicizzati che li hanno salvati dalle patrie galere nel 1993 con
Tangentopoli;
con i quali hanno anche sventrato la “Costituzione
più bella del mondo” trasformata, sempre
nel 1993, con la modifica,estorta sotto ricatto e minacce, dell’originario
articolo 68 in un simulacro di carta da “democrazia popolare” di stampo
sovietico dominata dai P.M. , espropriando al popolo italiano la
sovranità politica, tutta la sinistra comunista italiana vive da allora come vivono i transfughi, come coloro che vivono sotto un”
programma di protezione totale” perché minacciati dalla mafia dei Magistrati. Al Quirinale come al Nazareno, non fatevi ingannare dalle
apparenze, tutti sono agli ordini di quella mafia mascherata da magistratura. Al
primo segno di pentitismo, di collaborazionismo con la vera legalità democratica e costituzionale , la
mafia/magistratura ritirerebbe la sua
protezione ed il destino di chi osasse sottrarsi alla regola ferrea dell’omertà
sarebbe segnato. Lo ha ben constatato anche Napolitano, componente fondamentale
di quella consorteria comunista che da
venti anni cerca di conquistare il dominio in Italia a suon di manette, a forza
di operazioni di polizia giudiziaria, quando s’è dovuto difendere, per non
svergognarsi davanti a tutto il mondo, dagli attacchi della Procura di Palermo
che reclamava a gran voce la sua cieca obbedienza.
Così, quando le
consultazioni politiche di febbraio
scorso segnarono l’ennesima disfatta
politica della sinistra guidata da Bersani, il complice del Colle, per sudditanza mafiosa e sopra tutto per operare una chiara “
captatio benevolentiae” si attenne ai
voleri di quella mafia e ci fece perder
tempo altri due mesi – alla faccia dello spread e della speculazione, vero
Napolitano? – appresso ad una combriccola di squinternati bamboccioni
quarantenni , che evocavano addirittura
il ritorno alle confuse formule di Berlinguer
( finti sognatori ma famigli ben ammanicati col potere quirinalizio grazie
all’arrogante militanza nella sinistra studentesca e massimalista). Quando
poi si trovò con le spalle al muro davanti alla sua rielezione al Colle, che lo costringeva
all’obbedienza assoluta, si
prestò alla sceneggiata finale .
Intimidito ancor di più dai ricatti e dalle minacce di quella
Magistratura, rassicurato dalla mafia
dei magistrati che Berlusconi sarebbe
stato, di lì a poco tempo, estromesso per via giudiziaria dalla scena politica,
offrì al Paese la sua fidejussione morale ( di persona “ spacciata” come “sopra
le parti”) e promosse il Governo di larghe intese. Perché Napolitano e tutto il
P.D. mentre accettavano di governare insieme al Pdl di Berlusconi, mentre
avallavano il programma convenuto d’accordo basato sulla cancellazione dell’IMU
e sulla diminuzione delle imposte, stavano ingannando come al solito il Paese. Their deal, l’ulteriore loro progetto criminale, era
chiaro : due o tre mesi a fingere di governare col Pdl, per fare il meno
possibile, poi la Magistratura abbatterà Berlusconi e loro , nel frattempo, avranno
comprato q.b. dei voti di grillini (
come al ristorante) per mettere in grado
il complice al Colle di varare un’altra
truffa al popolo: una nuova maggioranza.
Ecco perché dal Nazareno
partono solo ipocrite grida spagnolesche
, solo falsi infingimenti, solo patetici
finti appelli che sono invece giuramenti di fedeltà mafiosa a quella camarilla giudiziaria. “ Nessuno sconto a
Berlusconi”, che sconti non ha mai chiesto, “ non barattiamo la legalità con la
durata del governo” quando il Governo Letta
non è stato voluto da Berlusconi, ma da Napolitano e da loro stessi. Sono
più ingolositi da un baratto con i centri di potere, magari con le
redazioni della Rai, magari con le poltrone , sedie, strapuntini nel sottobosco
politico, anche con qualche fondazione bancaria, anche con appalti succosi,
magari anche con qualche altra bella sentenza cucita addosso alle loro voglie
infantili ed isteriche di dominare l’Italia
pur non avendone il necessario consenso politico.
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LETTERA APERTA ALLA
DOTTORESSA CECILE KYENGE
Spettabile
Dottoressa Cecile Kyenge,
lasci
perdere chi l’insulta, noi di centrodestra subiamo da venti anni con la
pazienza dei forti, con cristiana rassegnazione, con serafica rassegnazione le offese, gli insulti, le calunnie di un anziano che si crede un “ guru” come un
Paramansa Iogananda e che pontifica da uno dei ciclostili di casa De Benedetti. Quattro parolacce da
trivio di avvinazzati non limitano certo il nostro impegno per il bene dell’Italia.
Faccia anche Lei altrettanto e, come scriveva un grande , anch’esso, come poi altri, a vivere in esilio da questa
terra italiana di maramaldi e di ubriachi., si dia da fare per il bene di
questo Paese, senza star lì a perder tempo a rispondere alle ingiurie, come
fosse, anche Lei, Dottoressa, una delle avvinazzate clienti delle osterie.
La
prima cosa che mi piacerebbe sapere è semplice: come mai è stata scelta per un
ministero? Quale è stato il suo così eccellente “ know how “ che l’hanno
condotta alla conquista di questo speciale merito? Insomma, Dottoressa Kyenge,
ma Lei, cos’ha fatto di tanto meritevole da diventare addirittura un Ministro
italiano? Ho chiesto in giro, ho visitato Wikipedia. Ho quindi appreso che Lei
deve molto ad un Vescovo cattolico, come una raccomandata da sagrestia ,come s’usava da noi
, ma roba da dopo guerra.
Comunque
utenevo che Lei avesse sviluppato, nel tempo, un progetto di integrazione
interetnico e che la sua nomina a Ministro dell’Integrazione avesse questo
significato. Invece leggo che Lei – sue dichiarazioni – “ da tre mesi sto
facendo un monitoraggio e cercherò di analizzare tutte le problematiche per
individuare una soluzione “ dei problemi dei Centri di identificazione, i
famosi Cei. Dunque Lei non aveva in mente un bel nulla, eppure era sempre Lei
che tuonava contro i governi passati , sopra tutto quelli di centro destra, quando
predicava ogni giorno la litania dell’accoglienza senza se e senza ma. Pensavo
che Lei conoscesse a fondo il problema delle mafie che organizzano i viaggi dai
paesi africani, a costi elevati, che usano navi e non barconi, solo che poi, quando arrivano a poche miglia dalle coste
italiane, sbarcano quei poveri cristi su carrette del mare che vengono
caritatevolmente accolti, invece sento che Lei è come un disco rotto, non fa
altro che ripetere “ la Bossi – Fini va cambiata” oppure che “ lo ius soli per
chi nasce in Italia”, tutti slogan senza costrutto e senso, riproposizione di
rimasticature dell’accoglienza
miserabile, stracciona e pezzente che ha caratterizzato l’Italia evangelica e
riccardiana: che poi quei poveretti accolti si trasformino in mendicanti, in manovalanza per la malavita,
in accattoni , in lavoratori in nero, in delinquenza forzata per sopravvivere,
non è mai importato più di tanto a voi predicatori della finta bontà.
Chissà
se la Dottoressa risponderà mai a questa mia istanza?
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TUTTI UGUALI DAVANTI ALLA
LEGGE? TUTTI, SPECIE SE DI CENTRODESTRA E MENO CHE SIANO SUPPORTER DELLA
SINISTRA.
A
proposito di “ tutti uguali davanti alla giustizia ed a chi l’amministra”. Ora
vi faccio un riassunto , una summa, poi ragioniamo insieme.
Tutti
sanno che la Suprema Corte ha impiegato poco più di due mesi per rendere
definitiva la condanna di Silvio Berlusconi a 4 anni per evasione fiscale per la
vicenda dei diritti Mediaset. Quasi nessuno sa
che ha impiegato solo un po’ meno di due anni per ripulire la fedina
penale dell’Ing. Carlo De Benedetti
dalle due condanne (6 anni e 4 mesi e 4 anni e 6 mesi, in primo e secondo grado
nel ’92 e nel ‘96) per la pesante accusa di concorso in bancarotta fraudolenta
nella vicenda molto oscura del crack del Banco Ambrosiano.
Non
nuovo a “ mordi e fuggi” da ladro di alta classe, Carlo De Benedetti aveva già
azzannato la FIAT, divenne suo Manager grazie alla sua amicizia con gli
Agnelli ( erano suoi compagni di scuola) , ma dopo soli quattro mesi fu
cacciato via, portandosi appresso una liquidazione miliardaria ( erano i tempi
in cui i bilanci della FIAT venivano pagati dai contribuenti italiani). Invece
al Banco Ambrosiano , per due mesi appena, per 65 giorni trascorsi come vicepresidente , esattamente dal
18 novembre ’81 al 22 gennaio ’82, l’Ing. Carlo De Benedetti intascò la bellezza
di 81,5 miliardi di lire,letteralmente “estorti” a Roberto Calvi, secondo il pm Luigi
Dell’Osso che però non riuscì mai a far processare l’Ingegnere per tale ipotesi
di reato. De Benedetti intascò una plusvalenza di almeno - 30 miliardi per due mesi. Il
Tribunale e la corte d’appello di Milano nel condannarlo per concorso in
bancarotta hanno più volte accennato al ruolo svolto da Repubblica e l’Espresso
con lunghe e aggressive campagne stampa contro Calvi e l’Ambrosiano, intervallate
da improvvise e brevi bonacce. Riporto questa frase della condanna del Tribunale di
Milano: «Non bisogna dimenticare che il comparto estero del Banco Ambrosiano
aveva attirato per tutto il 1981, a tacer d’altro, le attenzioni del giornale
la Repubblica e del settimanale l’Espresso, entrambi facenti capo
all’imputato». Bisogna tenere a mente queste parole: «a tacer d’altro» e
«entrambi facenti capo all’imputato»: perché all’epoca De Benedetti,
ufficialmente, non era azionista del gruppo.
Bene
, oggi propongo alcune domande a due
protagonisti in vita e che fortunatamente godono di ottima salute, il fondatore
di Repubblica Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti.
La
prima è quella ripetutamente avanzata da Staiti di Cuddia, allora deputato del
Msi.
1) Perché De Benedetti non andò
alla Procura della Repubblica a denunciare ciò che aveva scoperto? Siccome, con
una certa sorpresa, ho verificato che in realtà De Benedetti in sede civile,
prima della sentenza d’appello, ha rimborsato una cifra - si dice - di 30
miliardi alla gestione liquidatoria del vecchio Ambrosiano, che si è ritirata
dalle parti civili
ecco la seconda domanda:
2) Perché l’Ingegnere che si è
sempre detto innocente ha accettato di transigere ?
Per la terza domanda cercheremo
di trovare una risposta in questa puntata
3) Per caso De Benedetti nel suo
passaggio all’Ambrosiano, cruciale nel destino della banca, era socio occulto
e/o aveva il controllo del gruppo Repubblica-L’Espresso?
Della
questione a suo tempo si è occupato Mario Tedeschi con molti articoli sul
Borghese e con un libro, prezioso (Ambrosiano. Il contro processo.E qui, dopo
le parole del Tribunale, bisogna fare molta, molta attenzione alle date.
Il
30 settembre 1981 il principe Carlo Caracciolo di Castagneto, co-editore con
Scalfari di Repubblica e Espresso, convoca l’assemblea straordinaria
dell’Editoriale L’Espresso Spa. Deve essere deliberato un aumento di capitale:
da 1,5 a 4 miliardi; bisogna mettere mano al portafogli. Il gruppo è in
espansione, la filosofia è quella di garantire ai lettori i valori di libertà e
autonomia editoriale. Ottimi intenti, ma, insomma, il gruppo -
causa le condizioni generali del Paese, gli alti tassi d’interesse o forse anche altro - è in un mare di debiti (quanti debiti lo
vedremo tra poco). Ma dopo poche settimane quell’aumento di capitale non è più
necessario.
Cos’è
successo? Una società di gestione fiduciaria, la Rigim Spa (Riunione Generale
Italiana di Mobilizzazione), offre un finanziamento di ben 4,3 miliardi a
fronte di fedi di investimento. La fede di investimento è un titolo di credito
i cui sottoscrittori forniscono capitali da gestire fiduciariamente. Le
condizioni sono più che buone. Il destinatario del finanziamento lo può
estinguere «in qualsiasi momento», le fedi possono essere convertite in azioni
del Gruppo L’Espresso «dal 1.1.1983 al 31.12.1985».
C’è
la mano dell’Ingegnere? Sì. Combinazione, il 5 ottobre 1981 nella Rigim entra
come sindaco Giulio Segre, della famiglia Segre che da sempre è l’ombra degli
affari dell’Ingegnere, ed entra direttamente nel cda proprio De Benedetti. Il
quale si dimetterà nell’85 ad operazione definita e conclusa. Ma lo abbiamo
detto: bisogna stare molto attenti alle date.
Quando
l’Ingegnere ha deciso di dare l’avvio all’assalto all’Ambrosiano? Proprio
nell’ottobre 1981. Smentendo se stesso e quanto sosterrà una volta indagato e
sotto processo, in tempi non sospetti il 12 dicembre ’81 al giudice Colombo (
ma guarda tu i casi della vita!) che indaga
sulle liste della P2 ha dichiarato: «Questo discorso con Calvi inizia
nell’ultima parte di ottobre … gli proposi un mio ingresso diretto nella
compagine azionaria e nel consiglio di amministrazione in qualità di
vicepresidente del Banco Ambrosiano». Cosa che avviene il 18 novembre. Il 14
dicembre ‘81 Carlo Caracciolo riconvoca l’assemblea straordinaria del Gruppo
Espresso e informa gli azionisti che
«ragioni di opportunità rendono necessario annullare l’aumento di capitale del
30 settembre». Annuncia il provvidenziale finanziamento della Rigim.
A
quanto ammonta la situazione debitoria del gruppo? Secondo Mario Tedeschi (che,
come sostiene il figlio Claudio, non ha mai ricevuto querele o smentite) a fine
’81 l’indebitamento verso le banche era di 10,4 miliardi contro i 3,4 di un
anno prima, 5 miliardi verso i fornitori, 3 miliardi di oneri finanziari invece
di 1 miliardo dell’80. In questa situazione se, per dire, Eugenio Scalfari
sulle colonne di Repubblica avesse avanzato, come fu fatto da più parti, dubbi
di carattere etico e morale sulla buonuscita di quasi 82 miliardi e una
plusvalenza di - almeno - 30 miliardi ottenuta il 22 gennaio 1982 da De
Benedetti, quel generoso finanziamento avrebbe avuto seguito? E senza i 4,3
miliardi della Rigim il gruppo Repubblica-Espresso avrebbe spiccato il volo
diventando in pochissimo tempo il primo o secondo gruppo editoriale in Italia?
Ma
queste sono domande retoriche. In punto vero è un altro. Quando materialmente è
stato erogato il finanziamento? E qui bisogna lasciare la parola a Mario
Tedeschi, che - da quanto riporta - ha
ricavato però la spiegazione dal bilancio 1981 del Gruppo L’Espresso Spa: «Dal
2 febbraio 1982 sono affluiti nelle casse dell’Editoriale L’Espresso i 4.320
milioni dell’operazione Rigim Spa». Cioè 10 giorni dopo l’uscita di De
Benedetti dall’Ambrosiano.
Mi
permetto quindi di aggiungere altre quattro domande, alle tre precedenti.
Alcune espressamente rivolte all’Ingegnere, altre ad Eugenio Scalfari.
4)
Il finanziamento di 4,3 miliardi decisivo per le sorti del Gruppo L’Espresso
proveniva dalla plusvalenza ottenuta dall’Ingegnere a spese di Calvi e
dell’Ambrosiano sull’orlo del fallimento?
5)
Quali erano le «ragioni di opportunità» che il 14 dicembre ’81 resero
necessario annullare l’aumento di capitale deliberato dal Gruppo L’Espresso
appena il 30 settembre?
6)
Perché fu accettato il finanziamento di 4,3 miliardi della Rigim, in cui era
appena entrato come amministratore De Benedetti?
7)
Scalfari, date anche le sovrapposizioni temporali, si è mai interrogato da dove
provenissero quei soldi?
8)
Lo ha chiesto a Carlo De Benedetti (o a Carlo Caracciolo)? E perché, qualunque
fosse stata eventualmente la risposta, ha ritenuto di non doverla rendere nota
ai suoi lettori?
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A
proposito di Scalfari, aggiungo, per chi non ne fosse informato, come il Vate
abbia oggi ripreso e bacchettato anche il Presidente emerito della Corte
Costituzionale, Capotosti. Il quale
sostiene che in relazione alla decadenza
il Senato agisce da giudice indipendente ed autonomo. Insomma, l’abc di
una democrazia. Scalfari invece, s’affaccia dal Palazzo della Salita del Grillo
e sibila “ Capotosti non può commettere errori così marchiani”! Traduco in “repubblichese: Io so’ io e voi
della Consulta non siete un cazzo”!.
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Roma
lunedì 26 agosto 2013
Gaetano
Immè
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