BERSANI E LA SUA CAMPAGNA
ELETTORALE ANNI ‘50
Non amo la campagna elettorale, le interviste, il bilancino del tempo a segnare i secondi a
disposizione per parlare e per discutere , secondo quell’orrenda “par condicio” che è la negazione assoluta di
ogni principio di libertà e di autonomia, quel buttar giù slogan
propagandistici, idiozie pure, balle
stratosferiche, promesse che sanno di mercatino rionale invece che di politica. Capisco che la
campagna elettorale sia una necessità del sistema democratico, ma resta la mia profonda avversione, avversione che mi deriva non certo dalla sua mèta ( sottoporre all’esame del popolo
sovrano le svariate offerte politiche ) ma dal fatto che moltissimi esponenti
politici anziché esporre i rispettivi “ programmi politici” per raggiungere “
quella mèta” la usa al solo scopo di
inondare giornali e televisioni di idiozie , di menzogne, di balle, di
demonizzazioni degli avversari insomma di letame culturale e politico che non
serve la causa della democrazia, ma quella
della rissa politica da trivio di avvinazzati. Sento così come da
qualche giorno girino frasi e concetti usati come fossero delle armi
contundenti: mi riferisco soprattutto all’On Bersani, il quale in questi giorni
di scandalo MPS , sta usando due argomenti, frasi criptiche, slogan , con i
quali crede di sviare l’attenzione dell’Italia , dell’Europa, del mondo intero
da quell’infame vergogna dello scempio
che il P.D. ha compiuto ai danni del MPS .
Vado nell’ordine. La prima frase è una perla, “ il PD fa il PD, la Banca fa la Banca”. La seconda è un “ dejà ecouté “ , il celebre
e ripetuto “ non prendiamo lezioni da chi
ha abolito il falso in bilancio”.
In relazione alla sua prima fregnaccetta ( “il PD fa il PD la Banca fa la Banca” ) ( dire così davanti alla sciagurata gestione del MPS equivale a dire, davanti alla vergogna di uno stupro “ la donna fa la donna l’uomo fa l’uomo “) mi basta ricordare all’On Bersani , una data: quella
del 22 marzo del 2006. In
quel giorno un certo Dr Antonio Fazio , a quel tempo addirittura Governatore
della Banca d’Italia, travolto dallo scandalo dei famigerati “ furbetti del
quartierino”( quelli delle “scalate
corsare” a Banche ed a giornali, ) viene
convocato in Procura , a Milano, per essere ascoltato su quella inchiesta dal
P.M. Francesco Greco. . E che cosa racconta il Governatore Fazio ? Parla certo di Ricucci, parla di Fiorani e di Banca Antonveneta,
ma poi si concentra su un dettaglio illuminante. «Le posso dire - spiega a Greco -, su Bnl, che sono venuti da me
Fassino e altri a chiedere se si poteva fare una grande fusione
Unipol-Bnl-Montepaschi. Io li ho ascoltati». Greco non molla, per cercare di collocare nel
tempo l'episodio: «Questo quando?». «Primissimi mesi 2005 o fine 2004», è la replica. Pausa. Poi
Fazio articola meglio i ricordi: «Erano Fassino e Bersani” Così c’è scritto in un
verbale agli atti del Processo, dunque su un atto pubblico. Può bastare On. Le
Bersani o devo anche ricordarle tutte le decisioni prese dal P.D. locale e
nazionale ( intendiamoci, prima del 2007 la faccenda riguardava non il PD ma i
DS , ma Lei era sempre lì, in prima fila )
sulle cariche in Comune, in Provincia, in Regione, in Fondazione ed in
Banca per il MPS? A buon intenditor
poche parole.
Quanto poi all’altro inganno, raggiro, impostura di Bersani ( “ non prendiamo lezioni da chi ha abolito il falso in bilancio” ) , il suo squallore intellettuale e la sua mistificazione della realtà ai danni della credulità popolare è semplicemente indegna di un uomo delle istituzioni. Mi riporta ai tempi dell’Italia del 1950 quando Togliatti ed il PCI creavano mostri mediatici basati sul ripetere accuse false ed inesistenti contro qualcuno fino ad ingenerare l’idea che quella menzogna fosse una verità.
Anche qui l’elenco sarebbe lungo, ma stavolta offro gratis una sintesi al finto bonaccione emiliano. Comincio con quella infame campagna di stampa contro Piero Piccioni. Siamo nel 1954, Piero è figlio di Attilio Piccioni, che fu ministro della Giustizia, più volte ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio dei ministri nei governi De Gasperi V, VII e VIII e, negli anni 1956-57, fu a capo della delegazione italiana presso le Nazioni Unite . Ebbene nel 1954, mentre Attilio Piccioni era ministro degli Esteri nel governo Scelba, il PCI, sotto l’alta direzione strategica di Togliatti, di Napolitano, di Secchia, di Pajetta, di Jotti,, ecc mosse false accuse contro il giovane figlio Piero nel "caso di Wilma Montesi", ragazza romana trovata morta sulla spiaggia di Torvaianica, accusò Leone Piccioni di essere stato l’assassino della Montesi. . Il 19 settembre 1954 lo scandalo provocato dal PCI era tale che Attilio Piccioni si dimise dalle cariche ufficiali. Il 20 giugno 1955 Piccioni, Montagna e Polito vennero rinviati a giudizio, il 21 gennaio 1957 a Venezia si aprì il dibattimento ed il 28 maggio di quell’anno il tribunale riconobbe Piccioni innocente e lo assolse con formula piena.
Come poi non ricordare il caso ordito sempre dal PCI contro il Presidente della Repubblica Giovanni Leone? L’On. Leone fu eletto Capo dello Stato il 24 Dicembre 1971. Secondo autorevoli costituzionalisti, la sua presidenza fu caratterizzata da una linea improntata all'indipendenza piena dai partiti ( cito la scelta di due giuristi come Volterra e La Pergola, insigni studiosi ma d’orientamento opposto a quello dalla DC e il rinvio alle Camere del nuovo sistema elettorale del CSM ) e si posizionò anche a favore di una possibile salvezza di Aldo Moro. A partire dal 1978 Leone e i suoi familiari si trovarono al centro di attacchi violentissimi e insistenti, mossi soprattutto dal settimanale L’espresso e nel libro Giovanni Leone: la carriera di un Presidente, che la giornalista Camilla Cederna pubblicò nel 1978 per Feltrinelli su presunte irregolarità commesse dal Presidente e dai suoi familiari. La DC , per ovvie ragioni contingenti ( era il momento delle Brigate Rosse ) non consentì al Capo dello Stato di reagire a quelle accuse : il Guardasigilli del quarto Governo Andreotti Francesco Paolo Bonifacio, più volte sollecitato dal Quirinale, rifiutò di accordare la necessaria autorizzazione per procedere penalmente contro l'autrice per oltraggio al Capo dello Stato. Il 15 Giugno del 1978 l’On. Giovanni Leone stesso annunciò agli italiani le sue dimissioni.Furono soltanto i figli di Leone a poter sporgere querela, per i fatti loro ascritti, contro la Cederna . La quale perse in tutti e tre gradi di giudizio: fu condannata per diffamazione. Il 3 novembre del 1998, in un convegno a Palazzo Giustiniani, alla presenza di tutte le Istituzioni ed anche dei massimi esponenti dell'ex PCI ( fra i quali Giorgio Napolitano), solo Pannella e la Bonino si scusarono pubblicamente con l’On Giovanni Leone per gli attacchi di vent'anni prima. I due esponenti radicali hanno poi reso pubblica una lettera nella quale essi, oltre a rendere omaggio a Leone.. Dal PCI nessun segnale.
Torno al falso in bilancio. Ma
davvero era stato cancellato, depenalizzato il falso in bilancio?
La risposta, ovviamente, è no. Fino al
2001 falsificare un bilancio significava commettere un “reato di pericolo”, vale a dire che la
condotta era perseguita d’ufficio, a prescindere dall’entità e caratteristica del
falso (elementi che, naturalmente, erano poi presi in considerazione dal
giudizio). Dopo la riforma del 2001 il falso in bilancio diventa un “reato di danno”, è penalmente rilevante,
ed è punito con una pena ridotta ad un massimo di un anno e sei mesi se non si
è recato danno patrimoniale ai soci o ai creditori. La pena aumenta
all’aumentare del danno e, se si tratta di una società quotata in Borsa resta
immutata la procedibilità d’ufficio e la pena massima giunge a quattro anni.
Quindi, non solo rimane il reato, ma rimangono anche significative pene
detentive. Quel che la riforma evita è che il combinarsi della procedibilità
d’ufficio per tutte le società, anche le più piccole, combinata con
l’obbligatorietà dell’azione penale, porti ad aprire un gran numero di
procedimenti, magari senza neanche che un qualche socio si senta danneggiato, o lo sia in modo appena
significativo
Ora capita che nel caos totale che ha investito il Pd per via dello
scandalo Monte dei Paschi di Siena, spunti addirittura una cattedra di Archivistica, materia a me sconosciuta,
cattedra affidata dal 2005 fino al 30 dicembre 2011, ma guarda tu il caso, a tale
Dottoressa Giuva che, però, è anche la consorte di tale Massimo D’Alema. Sussurra
niente il giretto? Mi informo e leggo la biografia della professoressa e vengo
a sapere che «dopo avere lavorato per
oltre vent’anni nell’amministrazione archivistica italiana, è approdata
all’Università degli Studi di Siena, sede di Arezzo, dove insegna Archivistica
generale in qualità di professore associato. Si è occupata di archivi di
partiti politici, di singole personalità e svolge ricerche nel campo
dell’innovazione applicata alla gestione documentale nelle pubbliche
amministrazioni». Dunque è una delle svariate conferme, ove ve ne fosse
ulteriore bisogno, che il Pd a Siena comanda,
oltre al Comune, alla Provincia, alla Regione, alla Fondazione MPS ed alla
Banca MPS , anche all’università. La
quale Università poi è legata a doppio filo alla banca della città tramite la
Fondazione Monte dei Paschi, erogatrice almeno fino al 2010 di corpose somme di
denaro all’ateneo che sono
rintracciabili in rete. È di ieri la notizia del commissariamento immediato dell’Università di Siena chiesto dal collegio
dei revisori dei conti «prima che la sua situazione economica, finanziaria e
patrimoniale degeneri ulteriormente». I tre commissari hanno bocciato l’approvazione
del bilancio preventivo del 2013, dichiarando, come previsto dalla riforma
Gelmini, lo stato di dissesto dell’Università, a lungo retta da Luigi
Berlinguer. Ovviamente col cognome Berlinguer all’Università di Siena non c’è
solo Luigi. Il 2012, infatti, si è chiuso con 46 milioni di perdite e per
l’anno in corso si prevede un rosso di ulteriori 19 milioni.
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MENO ISCRITTI ALL’UNIVERSITA’,
MENO DISOCCUPATI SICURI
Quasi 60mila iscritti in meno alle nostre università tra l’anno accademico
2003/2004 e quello 2011/2012, un calo del 17%, come se fosse scomparso un
ateneo come la Statale di Milano. Sconcerto e allarme tra gli “ ortodossi benpensanti
“ , secondo i quali l’accesso
all’istruzione universitaria dovrebbe essere un diritto garantito a tutti e una
vocazione universale. Che poi nei fatti quel
“ supposto diritto “ produca un esercito di illusi e di frustrati per queste “anime belle” è inconcepibile, è un’ipotesi che scartano
aprioristicamente. Il calo degli iscritti,
secondo i soliti sostenitori della spesa pubblica, è colpa dei tagli,
soprattutto al “diritto allo studio”, che costringerebbero le famiglie meno
abbienti a rinunciare ad iscrivere i loro figli all’università e che
priverebbero questi ultimi della speranza nel futuro.
E se invece la verità fosse che gli
italiani hanno smesso di credere ai miti di vecchie ideologie, che cominciano ad
aprire gli occhi sulla grande truffa dell’università italiana ? I giovani laureati, insieme alle loro
famiglie, vivono sempre più sulla loro pelle il fallimento dell’offerta
formativa universitaria. Non appena cercano di entrare nel mondo del lavoro, se ne rendono conto, si accorgono che la
preparazione fornita nei tre - cinque -sei anni di studi semplicemente non vale
quello che loro stessi hanno perduto: esperienza
lavorativa e reddito che avrebbero potuto accumulare iniziando subito a
lavorare. Perché questa , ordita dall’ortodossia dominante, è una vera e propria truffa: far credere che
l’università sia alla portata di tutti, che sia il percorso naturale per
ciascuno, al quale anzi ciascuno ha diritto, e attraverso il quale potrà
garantirsi lo sbocco professionale desiderato, un’occupazione stabile e ben
remunerata. Quando poi questa promessa sbatte
il muso con la realtà ben diversa, una realtà che mette a
nudo come anni e anni di studio siano stati quasi inutili rispetto alle
competenze richieste dal mercato, allora la frustrazione, il rancore, la rabbia sociale
sono al diapason .
Certo, le ridotte possibilità economiche delle famiglie italiane in questi anni possono aver influito
sul calo degli iscritti, ma ignorare la crisi di credibilità dell’istituzione
significa fare come gli struzzi ( non
due zeta) , cioè nascondere la testa sotto la sabbia. L’università italiana è
un luogo di malcostume e nepotismo, profondamente ingiusto e improduttivo, che
favorisce privilegiati e raccomandati a danno dei meritevoli, che sforna pochi
laureati e per di più impreparati. È un’organizzazione inefficiente dove nessuno paga per i propri fallimenti. La
speranza di questo blog è che gli italiani se ne siano accorti e, sulla base di una semplice
valutazione costi-benefici, in misura sempre maggiore stanno prendano altre
strade per costruirsi il loro futuro. Sono sempre meno – ed è una fortuna, non
una sciagura – coloro che non credono al mito dell’università gratuita e per
tutti.
Un sistema finanziato e strutturato in modo da essere sotto il dominio dello Stato , come questo nostro, è un
puro sistema culturale di regime, un
sistema che mai potrà spingere la culturizzazione verso mète che non siano asservite agli interessi dello
Stato . Non è gratuito né equo perché è
la fiscalità generale, e quindi anche con le tasse delle fasce più povere, che
lo Stato finanzia di fatto gli studi ai ragazzi che li frequentano , i quali, per assurdo,
provengono proprio dei ceti più abbienti , gli unici che se lo possono. Né è un
sistema “per tutti “ perché non si deve confondere “il diritto allo studio” con
“ il diritto ad un banco da riscaldare”
; perché se è vero che l’accessibilità
illimitata genera un esercito di
iscritti che pagano rette relativamente basse, la percentuale dei laureati in
Italia è tra le più basse dei paesi Ocse. Solo il 15% della popolazione adulta
(25-64 anni) è laureato, meglio solo della Turchia e come il Portogallo, contro
una media Ocse del 31 e Ue del 28%, il 29% in Francia e il 27 in Germania.
Nella fascia di età 25-34 anni i laureati sono il 21%, contro il 38% della
media Ocse e il 35 della media Ue. Un terzo degli iscritti, poi, è fuori corso,
il 17,3% è addirittura fermo, non fa esami, praticamente parcheggiato
all’Università. Il risultato di questi benpensanti ? Eccolo: I figli dei ricchi possono studiare , tanto una
volta fuori , pur senza competenze, avranno comunque le porte aperte dal
patrimonio e dalle relazioni di mamma e papà. E gli altri? E i meno abbienti ? Hanno solo perso tempo, soldi e opportunità per dar retta
a questi imbonitori da strapazzo.
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IN VENDITA QUELLA PERLA DELL’ISOLA
DI BUDELLI
Vendono l' isola di Budelli, gioiello dell' arcipelago della Maddalena. O meglio: tentano di venderla, perché non è così semplice e non è nemmeno
la prima volta. È di proprietà privata ma, dall' ultima compravendita del 1984,
non si è mai saputo chi siano i padroni. Uno, fuori dal giro delle fiduciarie
svizzere, lo abbiamo scoperto, è un produttore, sceneggiatore e regista
cinematografico. Si chiama Augusto Caminito, 67 anni, come quello delle parole
del tango della gelosia ( 2Caminito fetiente y cornuto, ci hai messo lo sputo,
ecc) . Un altro regista, Giulio Paradisi, 76 anni, ha costituito un' ipoteca a
suo favore su gran parte dei terreni dell' isola, famosa per la spiaggia rosa
che Michelangelo Antonioni immortalò nel film Deserto Rosso.
Su quest' angolo di paradiso i vincoli posti dal ministero dell' Ambiente sono strettissimi, anche l' accesso è vietato. Ma allora che ci fai con
un' isola, splendida fin che vuoi, che però costa di custode, di tasse,
eccetera, se non si può nemmeno toccare? Certo, sulle terrazze di Roma , di
Milano, di Venezia. Fra un flute ghiacciato ed uno della cantina di quell’amico
in Toscana puoi pavoneggiarti che
Budelli è tua, vuoi mettere. L' ultimo tentativo di vendere l’isola è di due
anni fa, 2010 credo . Vinse l' asta tale “ Cofinance & Co “ di Andrea Cocco
Revelli, un quarantottenne finanziere romano di origine torinese che qualcuno
ricorda anche per l' estemporaneo ruolo di consulente di Stefano Ricucci nel
tentativo di piazzare sul mercato il 14% di Rcs. Per Budelli offriva 3,29
milioni di euro e non si capisce da dove li tirasse fuori visto che di lì a
poco gli avrebbe pignorato la società per un debito di 24.938 euro mai onorato.
L' operazione Budelli non si chiuse e il ministro dell' Ambiente, secondo fonti
dello stesso dicastero, non avviò la procedura di prelazione. Oggi, di fatto, è
tutto come due o tre anni fa.
L'amministratore unico dell' immobiliare Nuova Gallura srl, proprietaria dell' isola ( i cui soci sono le finanziarie – schermo ) è
l' avvocato svizzero Vittorio Peer, 66 anni e dice che la vuole vendere. Tutta
Budelli è della Nuova Gallura, a parte una piccola porzione di 1,8 ettari che è
della Regione Sardegna.Dimentica però l’avvocato Peer che quando il 18 dicembre
1984 Budelli venne acquistata per 325 milioni di lire avvenne un fatto
particolare. Lo dice un documento ufficiale che l' avvocato svizzero ha in
ufficio e che impegna i soci di Nuova Gallura: «L' acquisto del 18.12.1984 - si
legge - ebbe luogo con la partecipazione del sig. Augusto Caminito, che
contribuì con il 30% sia al prezzo di acquisto sia di tutte le spese relative
all' intestazione della proprietà. Formalmente i mappali dell' isola vennero
intestati all' Immobiliare Nuova Gallura ma sostanzialmente il 30% dell' intera
proprietà è stata ed è in esclusiva proprietà del predetto sig. Augusto Caminito».
Il cineasta non compare tra i soci proprietari di Budelli ma loro stessi gli
riconoscono formalmente un terzo dell' isola. Negli anni ' 70-' 80 i film di
Caminito ebbero un discreto successo (Nosferatu a Venezia con Klaus Kinski, “Tutti
dentro” con Alberto Sordi sono alcuni esempi) . Dunque il 30% di Budelli è suo.
E il resto? Si sa che sul 70% c' è un' ipoteca di 542 mila euro a favore del regista Giulio Paradisi. Il debitore
sarebbe proprio l' avvocato svizzero. Peer, che è, tra l' altro un «abbonato»
al bollettino dei protesti per l' emissione di titoli con difetto di provvista;
insomma un appassionato di assegni «cabriolet». Vendere Budelli sarebbe un
toccasana finanziario. Ma chi compra l' isola che non si tocca?
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Roma domenica 3 febbraio 2013
Gaetano Immè