PERCHÉ' CRAXI NON FU " UNO STATISTA" MA " UN POLITICO"
Molti credono, molti affermano con convinzione che, per esempio, “Mani
Pulite” sia stato solo uno “scannatoio giudiziario”, un “complotto”, una “imboscata,
ordita dalla “Magistratura comunista” per eliminare gli avversari politici del
Pci di allora, ossia la Dc, i partitini del pentapartito e, soprattutto, lui, “il
cinghialone”, il “nemico pubblico numero 1 del Pci”, ossia Bettino Craxi.
Quando leggo cose del genere, il pensiero va sempre a
quella prima volta in cui dovetti andare, per lavoro, in California, erano i
mitici anni ’80, ed ebbi un sussulto vedendo, sugli scaffali di un supermercato
di Santa Monica confezioni di formaggio con la scritta “Italian Parmisan”.
Era una puttanata quel falso parmigiano, come è una
puttanata che Mani Pulite sia stato ordito da magistrati comunisti per “far
fuori” Bettino Craxi.
Oggi sappiamo la verità su entrambe le puttanate che ci
furono ammannite.
CRAXI E MANI PULITE
Una
semplice “ricostruzione ” della così detta “Mani Pulite” dimostra che
a scoperchiare lo scandalo delle tangenti non fu né l’Ing. Mario Chiesa né il
Pool di Mani Pulite, bensì un anziano cronista del “Giorno”, Nino Leoni con le
sue inascoltate denunce sulla gestione corrotta del Pio Albergo Trivulzio, la Baggina,
sulla quale comunque la Procura di Milano, allertata dai convincenti e
documentati articoli del Leoni, aveva aperto un fascicolo.
Quando
la Procura di Milano decise di “monitorare” il Pio Albergo Trivulzio, era di
turno un P.M., tale Antonio Di Pietro, il quale, chiede ed ottiene dal Gip
Italo Ghitti, l’autorizzazione a mettere sotto intercettazioni telefoniche e
ambientali il Pio Albergo Trivulzio.
Si
era nel mese di fine ottobre, primi di novembre del 1991.
Ecco
come viene registrato tutto il colloquio fra l’Ing. Mario Chiesa, Presidente
del Pio Albergo Trivulzio ed esponente di spicco del Psi milanese oltre che
persona di fiducia di Bettino Craxi ed il signor Luca Magni, un politico locale
della Brianza, del Msi e poi di AN, titolare di una piccola impresa di pulizie,
il quale, nel corso di colloqui fra novembre e dicembre del 1991, concorda con
l’Ing. Mario Chiesa di pagare 14 milioni di lire come tangente per assicurarsi
l’appalto pulizie alla Baggina di 140 milioni.
Gli
accordi prevedono la consegna di 7 milioni per il 17 febbraio 1992 ed il resto
dopo i primi tre pagamenti da parte della Baggina.
Luca
Magni mastica amaro e nel novembre del 91 si decide: rinuncia al contratto per
la sua impresa per denunciare tutto alla Procura di Milano.
La
sua denuncia trova di turno proprio il P.M. Antonio Di Pietro.
A
Milano si è formato, da tempo, il Pool composto da magistrati legati al Pci:
Borrelli, D’Ambrosio, Davigo, Colombo, Di Pietro. Il Pci di Occhetto ha mollato
la vecchia classe operaia al suo destino, ha trovato il suo nuovo “Papa
esterno”, gli Usa democratici di Clinton e degli oscuri hedge Funds, che lo
sosterrà, caduto l’Urss, per fargli dominare l’Italia, si è trasformato nella
“gioiosa macchina da guerra”, si sente ormai la vittoria elettorale in tasca.
Le
elezioni politiche si terranno ad aprile del 1992, ma intanto il Psi di Craxi
sta facendo una spietata campagna elettorale usando la ormai imminente sentenza
definitiva al maxi processo di Palermo ( 30 gennaio 92) come la vittoria del
Psi sulla mafia , mentre Falcone fa ormai parte del Psi di Craxi dopo aver
sfruttato il Pci per fare carriera in Magistratura, fino al punto da essere
ormai nelle grazie persino del Presidente della Repubblica Cossiga che lo
invita a collaborare con il Magistrato russo Valentin Stepankov che sta per
concludere le indagini sul riciclaggio mondiale delle fortune che la mafia
russa e la vecchia nomenclatura sovietica avevano sottratto al popolo russo, il
cui riciclaggio ormai coinvolgeva anche il Pci/Pds.
L’occasione,
per la prossimità delle elezioni politiche, è troppo ghiotta
Nasce
così una trattativa e un accordo, un patto fra il Pool di Milano ed il signor
Luca Magni:
Luca
accetta di collaborare e il Pool lo premia derubricando il capo di imputazione
da “corruzione” (quale doveva essere) a “concussione” ossia Luca Magni diventa
la vittima dell’Ingegner Chiesa e non il complice, quale è stato.
Così
si organizza la “sceneggiata” famosa dell’arresto di Mario Chiesa.
Così
le banconote della prima tangente sono state fotocopiate in Procura, una ogni
dieci è firmata dal P.M. Antonio Di Pietro e dal capitano dei carabinieri
Roberto Zuliani.
E
il 17 febbraio del 92 il pubblico ministero Antonio Di Pietro chiede e ottiene
dal Gip Italo Ghitti un ordine di cattura per l'ingegner Mario Chiesa,
presidente del Pio Albergo Trivulzio e membro di primo piano del PSI milanese.
Con
Chiesa in carcere e senza possibilità di potergli parlare, sotto la esasperata
pressione mediatica di quell'arresto, Craxi volle sfrontatamente ancora
prendere il giro l’opinione pubblica italiana, ormai tutta allarmata dai fatti
corruttivi emersi, e, credendo di prendere in giro gli italiani, rilasciò
quella famosa intervista nella quale affermò “il primo a rimanere vittima di
questo mariuolo di Chiesa, sono proprio io, Craxi”.
Così
che quando al Chiesa, detenuto, venne riportato quello che Craxi aveva detto di
lui, il Chiesa si sentì abbandonato e tradito, e inizio la sua vendetta.
Cominciò
a denunciare, a vuotare il sacco.
E
andò avanti per un anno e qualche mese, ma sempre dietro denunce di Chiesa e
poi con “l’abuso della carcerazione preventiva” (Chiesa ha fatto il tuo nome,
io ti arresto, ti mando a San Vittore e se tu fai il nome di un altro, io
libero te e metto in cella il nuovo e così via)
Serviva
costruire uno scandalo, per far partire quel “colpo di Stato o l’ultima diversa
azione sovversiva” creata dal potente Patto di Varsavia – che verrà sciolto
solo nel 1995 - per eliminare definitivamente tutti gli avversari politici del
Pci/Pds.
Ecco
perché voi ancora la chiamate “Mani Pulite”, mentre quello fu solo uno
“scannatoio” dove sgozzare i nemici del Pci/Pds
CRAXI E SIGONELLA,
UN TABERNACOLO
A Goteborg viene intercettato un “help” lanciato dalla nave
italiana Achille Lauro che sarebbe stata sequestrata in mezzo al mare, ma non
si sa dove
Martedì 8 ottobre verso la sera Maxwell Rabb, ambasciatore Usa a
Roma, corre da Craxi strepitando e rivela i fatti, che Craxi “ancora ignorava”,
ossia che a bordo della nave da crociera italiana, Achille Lauro, con centinaia
e centinaia di persone a bordo, “per un puro caso”, erano stati scoperti
quattro terroristi palestinesi armati ovviamente fino ai denti. Erano diretti
in Israele per compiere una rappresaglia dopo il bombardamento ordinato dal
Governo israeliano di Rabin sul quartier generale dell’Olp a Tunisi.
I quattro terroristi, vistisi scoperti, sequestrarono la nave
italiana, ne presero il comando in acque egiziane.
Craxi resta sorpreso e stupito, dimostra di essere “indispettito e
contrariato” da questa ulteriore ’aggressione dei terroristi palestinesi ai
danni di inermi e ignari italiani
Gli italiani avevano già abbondantemente sofferto e pagato un
altissimo prezzo in sangue per la compiacenza, quasi una vera e propria “
silente complicità” dei governi italiani a favore dei terroristi palestinesi,
autori di vere e proprie carneficine ai
danni di persone italiane inermi e
ignare”, a cominciare dal rogo dell’aereo Pan Am del 17 dicembre del 1973 a
Fiumicino, passando per l’immane tragedia del 2 agosto del 1980 alla Stazione
di Bologna dove per quegli 84 cadaveri e
duecento e passa feriti andava sempre più emergendo la responsabilità della “ pista palestinese”,
fino alla tragedia del 7 ottobre del 1982, con quel vile attentato alla
Sinagoga di Roma che provocò la morte di un bambino, Stefano Guy Tachè.
In quel frangente di quell’8 ottobre 1985, Craxi chiamò subito il Ministro degli Esteri Giulio
Andreotti, noto politico filoarabo di lunghissimo corso e di enorme “influenza”
e, insieme, decisero di ignorare le
proteste e le richieste dell’Ambasciatore Usa,
mentre Andreotti proponeva , per l’Achille Lauro, una strategia geopolitica funzionale alla loro comune ideologia
pro Palestina: contattare subito sia Yasser Arafat e il Presidente egiziano Mubarak , chiedere ad
Arafat la mediazione di Abu Abbas, ossia del capo dei terroristi del Fplp
La strategia suggerita dal competente Ministro degli Esteri,
Andreotti fu subito condivisa da Craxi forse perché “incarnava” l’occasione da
cogliere al volo, per il Governo Craxi 1°, per “fare emergere ed imporre”
l’ideologia pro Palestina che accomunava Craxi ad Andreotti.
In quei frangenti, Craxi, che era Presidente del Consiglio, pensò,
forse, che , mostrando “una forte insofferenza verso gli Usa” e mostrandosi invece “bonariamente
comprensivo” verso i terroristi palestinesi, avrebbe finito per
attrarre, sulla sua figura politica, per
il primo messaggio, una ondata di
simpatie degli italiani - che avrebbero molto apprezzato quella davvero
inusuale manifestazione di autonomia
manifestata da Craxi verso gli antiamericani- , mentre, il secondo
messaggio, che suggeriva agli italiani di considerare quei terroristi palestinesi come fossero stati, tutt'al più, dei giovani e scapestrati
boehemiens che si immolavano per
la loro patria palestinese, avrebbe promosso , negli italiani, una sorta di
bonaria comprensione verso quei terroristi, messaggio subliminale che avrebbe
in un certo qual senso ammorbidito e anestetizzato le ferite delle precedenti stragi.
In poche parole, pur davanti ad un'altra proditoria aggressione
dei terroristi palestinesi ai danni di inermi italiani, Craxi non scelse
affatto – come invece sostengono i suoi “inconsolabili vedovi” - la via
dell’orgogliosa sovranità dell’Italia, perché quella via avrebbe dovuto
comportare “schiena dritta” certamente, ma sia verso gli Usa che verso il Fplp
mentre, invece, scelse una acritica e
cinica genuflessione alla politica
suggerita e dunque voluta da Giulio Andreotti e da Yasser Arafat.
Per molti anni e decenni,
esattamente dal 1985, l’anno della crisi di Sigonella, fino esattamente al 4
febbraio del 2018, quelle scelte politiche, in quella sera dell’8 ottobre del
1985, sono state evocate ed incensate come una prova della eccezionale capacità
innovativa della politica di Bettino Craxi, che per la prima volta nella storia
repubblicana, aveva osato “l’inosabile”, ossia ignorare e sfidare la “proterva
arroganza” con cui gli Usa volevano
intromettersi negli affari interni
italiani.
Insomma, si è creato, sull'episodio di Sigonella, una sorta di
“altarino votivo”, da esporre alla venerazione degli italiani, come esempio
preclaro della lungimirante arte politica di un vero ed unico statista come
Bettino Craxi.
E, sia chiaro, in parte, ma molto
in parte, Sigonella ebbe, si, funzione di evento che ha mostrato come “quel
Governo Craxi”, non solo Bettino Craxi, intendesse gestire la sua politica
estera senza condizionamenti da parte degli Usa, ma poi lo stesso Governo Craxi
1° fece un immediato atto di
riparazione, concedendo segretamente a Reagan la base di Sigonella per
attaccare la Libia di Gheddafi.
Solo cinque mesi dopo la tanto osannata dimostrazione
di orgoglio nazionale, infatti, nel marzo 1986 gli F111 Usa, provenienti dalla Gran Bretagna e
ufficialmente diretti alle basi inglesi di Cipro, decollano dalla base
siciliana per attaccare e bombardare il golfo della Sirte.
La concessione avvenne , per giunta, anche in grande segreto: Craxi concesse l’uso della base militare agli Usa , ma
chiese discrezione perché in pubblico,
intanto, criticava aspramente l’azione militare degli Usa, come emergerà da una
inchiesta della giornalista Sofia
Basso, che , studiando una vasta
documentazione americana liberata dal segreto di Stato, scoprì una nota
confidenziale scritta a Reagan nella primavera 1986 dall'allora segretario di
Stato americano, George Shultz, uscita
dagli archivi segreti del Dipartimento di Stato.
Prove che smentiscono, platealmente, l’iconografia
della schiena dritta di Craxi verso gli Usa e che portano a riflettere su
quelle decisioni politiche di quella sera dell’8 ottobre del 1985.
Poi il 4 febbraio del 2018, ecco “L’Espresso”
pubblicare una inchiesta sui “diari segreti di Yasser Arafat”, nei quali si raccontano
i diversi negoziati avvenuti fino al 2004, giorno di morte del leader
palestinese.
Ebbene in quei suoi diari, Arafat scrive che il vero
artefice del famoso “Lodo Moro”, la figura chiave di quell’accordo fra i
servizi segreti palestinesi e italiani- che venne stipulato nel 1973 -era stato Giulio
Andreotti e non Aldo Moro, anche se quell’accordo fu chiamato “Lodo Moro” dato
che proprio in quei giorni del 1973 Andreotti era Presidente del Consiglio.
Inedite novità, queste, inoppugnabilmente confermate dalla
deposizione, di fronte alla Commissione parlamentare “Moro 2”, di Bassam Abu
Sharif, un consigliere di Yasser Arafat, dirigente dell’Olp e del Fplp.
Dunque fu Giulio Andreotti la “mente pensante” cui si
deve non solo l’episodio di Sigonella, ma anche tutta la ondivaga politica
estera di quel Governo Craxi 1°.
Il messaggio di Craxi e di Andreotti fu chiaro, Arafat
gongolava e il Fplp ne prese atto con un certo piacere, immagino.
Ai terroristi
palestinesi Craxi consentiva di scorrazzare per l’Italia e sparare come
volevano.
E infatti, due mesi dopo Sigonella, ecco la strage di
dicembre 1985 a Fiumicino.
Non si può pretendere di scrivere la storia di un
Paese isolando un fotogramma, ad esempio “Sigonella 1°”, dall'intero film (tutta
la storia dell’Italia, dall'inizio ad oggi) e limitando il giudizio a quel solo
fotogramma.
Non è storia, ma esaltazione, glorificazione, in
ultima analisi, manipolazione grossolana.
CRAXI NON HA VOLUTO SALVARE
L’ITALIA
Il rapporto fra Cuccia e Craxi inizia alla fine del 1989.
Mentre a livello internazionale gli Usa stanno per scaricare “dear
Bettino”, Cuccia, ossia Mediobanca, vale a dire il mondo produttivo italiano,
corteggia Craxi.
Si incontrano almeno tre volte e Cuccia espose a Craxi il suo
“progetto”, che riassumo.
La firma del Trattato di Maastricht aumentava a dismisura, secondo
Cuccia, il rischio di una colonizzazione del sistema produttivo nazionale. Era
dunque impellente “una svolta politica” che seguisse l’evolversi della
situazione e dei mercati ma secondo una “logica nazionale”. Diventava
impellente privatizzare a prezzi ragionevoli affidando, però, a mani italiane i
rami fertili delle imprese pubbliche, riducendo così la spesa pubblica e
creando, con una mega fusione fra Mediobanca e altre due o tre banche di proprietà dell'Iri , una nuova banca in grado di fare da propulsore finanziario in questa
nuova fase. Ovviamente era un quadro,
concluse Cuccia, che imponeva ai partiti politici, di fare un passo indietro perché bisognava riconoscere che l’unico in grado di condurre tutta l’operazione era proprio e solo Bettino Craxi.
Un attestato di stima davvero ragguardevole, ma sicuramente frettoloso, come Cuccia e gli italiani s'accorgeranno.
Craxi rifiutò l’offerta.
L’Italia era ancora un Paese in cui la deriva giustizialista, Mani
Pulite, le stragi, le privatizzazioni scandalose erano tutte ancora di là da
venire, la “ politica” ancora guidava il Paese, nessun ordine dello Stato aveva
ancora neppur lontanamente surrogato la politica, cosa che avverrà alla fine
del 1993, il Pci era alle prese con il crollo del Muro, erano terminati i
finanziamenti del Pcus e dell’Urss, i segnali di un possibile tracollo del Pci
erano visibili con la sua evidente crisi finanziaria che lo porterà a
licenziare 5.000 dipendenti e a vendersi anche Botteghe Oscure, i, insomma la
politica era ancora l’arte che guidava il Paese.
Si poteva be dire " se non ora, quando?", per liberarsi dalla sinistra comunista.
Ma Craxi rifiutò l’offerta di Cuccia e subito il piano della
vecchia politica iniziò a inclinarsi verso un precipizio.
Craxi aveva rifiutato l’offerta che poteva così sintetizzarsi”
guida l’Italia alla salvezza per farle conservare la sua pur residua sovranità
politica ed economica”.
Perché Craxi rifiuto?
Per meschino “pregiudizio”, perché Craxi aveva sempre diffidato
dello “gnomo di Via Filodrammatici”, perché Craxi aveva diffidato del mondo che
Cuccia incarnava, per pregiudizio ideologico.
Si dice che, rifiutando quella proposta, Craxi abbia dimostrato la
sua statura di persona indipendente, di “grande statista”.
Una fandonia, una puttanata miserabile.
Fu un gesto da nano
politico e sopra tutto da politico che pensava solo ai suoi interessi e non al
bene del Paese.
Certo, rifiutando, Craxi restò sé stesso, rimase nel filone del
socialcomunismo, ma in realtà Craxi dimostrò la sua incapacità di correggere la
sua linea politica, la sua incapacità a interpretare il presente ed il futuro
dell’Italia, la sua assoluta inadeguatezza a guidare un Paese, cosa molto
diversa dal guidare, come leader o capo-popolo, una modesta e minoritaria
“fazione politica”.
======
La storia d’Italia va riscritta totalmente.
Craxi non fu “”uno statista”, ma solo “un politico”, timoroso di mettersi
in gioco, propenso sempre a non sacrificare “le sue ambizioni”, le sue “prospettazioni
politiche” nemmeno per fare il bene del Paese, ma pronto sempre ad irridere (lo
gnomo di Via Filodrammatici!) chi, invece, lo stava politicamente
ed umanamente umiliando, proponendogli, non ostante Cuccia fosse un avversario
politico di Craxi, di guidare il Paese verso la salvezza.
Gaetano Immè, 26 febbraio 2020
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